Gas in Italia: dove sono i giacimenti e quanto ne estraiamo
Quanto gas si produce in Italia? La domanda è tornata ad affacciarsi nel corso degli ultimi mesi, prima a causa dei rincari delle bollette che hanno colpito i bilanci familiari devastandone non pochi e poi sotto l’influsso del conflitto in atto tra Russia e Ucraina.
Con lo sbandierato avvio delle sanzioni da parte UE del gas russo, infatti, molti hanno iniziato a chiedersi se il nostro Paese produca gas e, in caso di risposta affermativa, quanto. Si tratta di una domanda in grado di provocare non poche sorprese.
Se è vero che al momento il nostro Paese non produce molto gas, in relazione al proprio fabbisogno, ciò non vuol dire che manchi la materia prima, come dimostrano i dati relativi all’inizio del millennio, quando l’Italia viaggiava su ritmi estrattivi circa sei o sette volte superiori agli attuali. Da allora, però, la situazione è mutata notevolmente, portando ad una situazione, l’attuale, in effetti molto problematica.
Andiamo quindi a cercare di capire meglio la questione per comprendere le difficoltà che potrebbe vivere nell’immediato futuro il nostro Paese per le ripercussioni della nuova situazione creata dalla guerra tra Mosca e Kiev e per alcune scelte politiche le quali potrebbero essere riviste, in considerazione della stessa.
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Di seguito vi indicheremo quanto gas c’è in Italia, quanto se ne estrae e quali sono le aree più prolifiche del Paese.
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Quanto gas c’è in Italia e quanto se ne estrae
L’Italia deve incrementare la produzione nazionale di gas. A stabilirlo è il “decreto bollette” del passato 18 febbraio, con il quale il governo guidato da Mario Draghi ha cercato di delineare il percorso attraverso il quale il nostro Paese dovrà diminuire la sua dipendenza dal gas estero e, in particolare, da quello russo.
Se a dirlo sembra facile, la difficoltà è però da individuare nel passaggio dalle semplici enunciazioni ai fatti. Il gas, infatti, non può essere estratto da un giorno all’altro come se fosse contenuto all’interno del classico cilindro da prestigiatore. Anzi, per essere meno vaghi, occorre stabilire subito un termine temporale: occorreranno anni prima di poter iniziare a estrarre gas lungo il territorio nazionale.
Sperando che le quantità a disposizione possano essere rispondenti alle esigenze di un apparato produttivo come quello tricolore, uno dei più importanti del globo.

Quali sono i giacimenti più ricchi
Nel sottosuolo italiano sarebbe presente una quantità di petrolio tra 1,5 e 1,8 miliardi di barili e 350 miliardi di metri cubi di gas naturale. Un dato in cui sono inclusi non solo le riserve già confermate, ma anche quelle possibili.
Per quanto riguarda il gas, in particolare, prendendo in considerazione esclusivamente le riserve certe, il dato va a posizionarsi in una forbice tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi.
Se si prende come riferimento le stime del MISE riferite al 2021, il dato si attesta a circa 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale estratto, e per capire meglio il dato occorre a questo punto ricordare quelle sul consumo complessivo, le quali vanno ad attestarsi a 76,1 miliardi di metri cubi.
Come si può facilmente immaginare, proprio questi dati obbligano l’Italia a rifornirsi all’estero per il gas utili a sostenere il fabbisogno nazionale.
Occorre anche sottolineare come la situazione sia largamente mutata nel corso degli ultimi decenni. Sino all’inizio del nuovo millennio, infatti, lungo la penisola si estraevano circa 30 miliardi annui di gas, quindi quasi dieci volte il dato attuale. Tanto da spingere il Ministro dello Sviluppo Economico, Cingolani, a parlare di vero e proprio scandalo.
La questione, però, è molto più complessa. Se è vero che le riserve di gas disponibili sono sui 350 miliardi di metri cubi, il fatto che se ne estragga la centesima parte ogni anno deriva da alcuni ostacoli da tenere presenti. Il primo è rappresentato dai pericoli collegati alla tecnica del fracking, già denunciati ad esempio dalle popolazioni interessate.
Il secondo è poi da ascrivere ai costi collegati all’estrazione, i quali sono destinati ad aumentare con il trascorrere del tempo, tanto da rendere più conveniente importare il gas dall’estero.
C’è però una precisa domanda cui occorre rispondere in via preliminare: dove sono ubicati i giacimenti di gas in Italia?
Per quanto riguarda il numero, quelli attivi vanno ad attestarsi a circa 1.300, ma quelli che vengono realmente utilizzati con continuità superano di poco le 500 unità.
Per quanto riguarda invece la localizzazione geografica, la zona in cui si estrae più gas metano è la Basilicata con 1.079.274.088 metri cubi standard. Alle sue spalle si piazzano la Sicilia e l’Emilia Romagna, con il Molise ai piedi del podio.
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I possibili nuovi bacini di estrazione: quali sono?
Secondo le previsioni del governo, ai 3,34 miliardi di metri cubi attuali, è possibile aggiungerne altri 2,2 i quali potrebbero essere estratti in tre aree ben precise:
- il Canale di Sicilia, ove sono localizzati due nuovi giacimenti che sono stati denominati Argo e Cassiopea, il cui gas dovrebbe essere trattato negli stabilimenti di Gela. In pratica l’80% dei nuovi quantitativi verrebbero da questi due giacimenti;
- le acque tra Emilia Romagna e Marche, da cui arriverebbe un ulteriore 15% del nuovo quantitativo;
- infine il 5% restante che verrebbe recuperato nei fondali del Mar Ionio, ovvero dalle acque prospicienti Crotone.
Altre grandi riserve, non messe nel conto una decina d’anni fa, sono poi previste sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna. Si tratta però di giacimenti per i quali sarà necessario un congruo arco di tempo per poter dare i risultati sperati (e anche di più, considerato che le stime più ottimistiche parlano di 2,5 miliardi di metri cubi).
La stima che circola al momento va a fissare al 2023 l’afflusso di nuovo gas da questi insediamenti, per i quali necessiteranno però le autorizzazioni, l’acquisto dei macchinari e delle apparecchiature in grado di sfruttarne il gas, le trivellazioni e l’avvio dei cantieri. Il tutto a patto che non si verifichino rallentamenti di carattere politico.
I giacimenti che non possono essere utilizzati
Al calcolo che abbiamo ricordato mancano però i giacimenti che non possono essere utilizzati. A renderne praticamente impossibile al momento lo sfruttamento è il Piano per la Transizione Energetica delle Aree Idonee (Pitesai), un provvedimento varato dal primo governo guidato da Giuseppe Conte, il quale ha accolto le preoccupazioni dei settori ambientalisti, frapponendo alcuni limiti invalicabili all’estrazione in alcune zone ben precise.
Tra di esse il giacimento Teodorico, posizionato nell’hinterland di Ferrara, al largo di Goro, quello indicato come Vega B, localizzato proprio di fronte alle coste di Ragusa e, in particolare, i giacimenti ad alta profondità che si trovano nel golfo di Venezia, nella zona di confine fra l’Italia e l’Istria. Proprio questi ultimi sono stati fermati nel 1983, quando iniziarono a acuirsi le preoccupazioni per i possibili cedimenti del suolo conseguenti all’attività di estrazione.
Si tratta in effetti di perdite rilevanti, se si pensa che secondo le stime circolanti, soltanto nella zona veneta potrebbero essere nascosti fra i 30 e i 40 miliardi di metri cubi di gas. Alla luce della mutata situazione, sono allo studio delle modifiche tali da poter facilitare il rilascio dei permessi necessari, in maniera tale da non vanificare gli investimenti fatti.
Come è noto, però, il nostro Paese è ormai percorso da proteste in lungo e in largo ispirate dai movimenti ambientalisti. Considerata l’influenza di Fridays for Future, quello ispirato alle idee della giovane svedese Greta Thunberg, non stupirebbero eccessivamente ulteriori ritardi in tal senso.
I quali andrebbero però a rendere ancora più pesante una situazione resa al momento problematica dai possibili blocchi all’afflusso di gas proveniente dalla Russia. Cui, come ricordato anche da Cingolani, non si potrebbe fare fronte prima di due o tre anni.
Nel frattempo, però, le esigenze di famiglie e imprese restano sul terreno.